mercoledì 26 gennaio 2011

i predatori della parca perduta

Tempo addietro bazzicavo una mailing list chiamata "il regno di chimera". Si trattava pressapoco di un gdr via mail in cui mi ero creato come personaggio un topo di biblioteca chiamato Luval.

Più recentemente, ho preso l'abitudine di postare delle specie di miniraccontini in un forum. A corto di idee per il tema del mese, ho recuperato un vecchio post della ml, l'ho ripulito un po', ci ho aggiunto un finale e l'ho postato lì. Dato che mi sembra carino, lo ripropongo.

Era nato storia da portare avanti con un amico. Le indicazioni dell'altro narratore erano "mettimi tu un personaggio, il classico guerriero con l'intelligenza di un comodino". Poi però ha cambiato idea e non ha partecipato, così il mio post è rimasto in sospeso fino a quando l'ho ripreso in mano qualche settimana fa.

ecco qui, dunque:


I predatori della parca perduta


- Le tue chiappe devono avere la consistenza del cuoio - imprecò Luval. Urthar aveva cavalcato tutto il giorno senza risentirne, ma lui iniziava a pensare che non sarebbe mai più stato in grado di camminare normalmente.

Urthar ricambiò le sue parole con uno sguardo stolido. Era un uomo da epica cavalleresca. Aveva muscoli d'acciaio, nervi d'acciaio e tendini d'acciaio. Altro acciaio era distribuito sul suo corpo sotto forma di armatura, spade, asce, coltelli e sciabole a sufficienza per un piccolo corpo d'armata. Vedendolo sorridere, Luval aveva pensato a una di quelle nuove macchinette per raddrizzare i denti. Errore. Paradenti in acciaio.

A compensare tutto quel metallo, il cervello era molto meno impressionante. Una necessità professionale, sospettava Luval: la tendenza a porsi complesse domande filosofiche rappresenta una pessima strategia di sopravvivenza sul campo di battaglia. Quando la spada del nemico è levata sopra la sua testa, l'eroe che perde tempo a chiedersi se la verità è bellezza o la bellezza verità è un eroe i cui pensieri sono forse profondi ma certamente brevi.

Arrestò il cavallo, estrasse un massiccio volume da una delle sacche e iniziò a sfogliarlo. Le descrizioni sulle antiche pagine erano meno affidabili di quanto aveva sperato.

Urthar si voltò impaziente.

- Siamo arrivati? Quando cominciamo a spaccare teste?

- Ci siamo quasi - rispose Luval - E non pensare a tutto in termini di teste rotte. Ti ricordi, vero, quale è il nostro scopo?

Un ghigno preoccupante si allargò sul viso di Urthar. - Sconfiggere i nostri nemici. Vederli fuggire di fronte a noi e sentire i lamenti delle loro donne!

Luval gemette. - Non precisamente. Stiamo cercando di raccogliere informazioni. Ti è chiaro il concetto di raccolta di informazioni, vero?

- Certo. Cerchiamo qualcuno e gli chiediamo a chi dobbiamo rompere la testa.

- Voglio dire che stanno succedendo cose strane. Cose mai successe prima e stiamo cercando chi può spiegarle. Vorrei che la mia mappa fosse un po' più recente. La montagna che abbiamo incontrato ieri non era segnata e persino in una regione così ricca di magia l'orogenesi non è cosa che avvenga da un giorno all'altro.

- Mi piace la tua mappa. Ci sta guidando in posti divertenti.

Luval rabbrividì. Il concetto di divertimento del suo compagno includeva orchi, troll, banditi e un drago i cui denti si trovavano ora nelle bisacce del cavallo. Almeno l'aveva convinto a non portarsi dietro tutta la testa come trofeo.

- Mi fa piacere che tu ti diverta.- Borbottò - Comunque ci stiamo avvicinando. La quarta delle tre sorelle dovrebbe essere là sotto.

- Lo pensavi anche ieri. Come fai a dirlo?

Luval fece un gesto ampio, indicando la vallata con il braccio .

- Guarda bene.

Erano sul culmine di un crinale. Il paesaggio si estendeva ancora tinto d'autunno, malgrado l'inverno imminente. Una foresta, piccole colline colore della ruggine, un ruscello tintinnante. Il cielo era sereno. La strada, poco più che un sentiero, spariva tra gli alberi per poi riapparire a sprazzi, dove gli alberi si diradavano. Il panorama era di una bellezza da mozzare il fiato.

Sembrava progettato da qualcuno che avesse studiato per secoli prima di sistemare anche una sola foglia.

Questo, naturalmente, perché era stato progettato da qualcuno che aveva studiato per secoli prima di sistemare anche una sola foglia.

Per quello erano venuti.

Tutti conoscono le tre sorelle. Solo nomi cambiano a seconda di chi racconta la storia. La prima fila il destino degli uomini, la seconda misura e la terza... lei ha le forbici.

Pochi si chiedono cosa facciano le sorelle con tutto quel filo. Quei pochi, talvolta, scoprono che esiste un'altra sorella.

La quarta delle tre. Quella che in una stanza in disparte disegna i modelli da realizzare con il tessuto filato dalle altre. Quella che secondo le leggende si è rifugiata sulla terra dopo un litigio furibondo circa l'ampiezza di una scollatura. Chi dice che le grandi storie appartengono al passato non sbaglia: il presente ricicla i vecchi modelli. Le tre sorelle non hanno fantasia.

- È lì - disse Luval. - Quando è venuta a tenere il broncio sulla terra ha scelto un posto che le piacesse. Il suo capolavoro.

- La coglieremo di sorpresa. Ci dirà quello vogliamo o le spacchiamo la testa.

Luval scrollò la il capo. - Non siamo venuti per combattere. E poi, pensi che qualcosa possa sorprendere lei?

Era lì. Ne era sicuro. E chi se non l'artefice dei cartamodelli del cosmo avrebbe saputo rispondere alle sue domande? Il destino, il futuro, ogni cosa, era tutto lì.

Si inoltrarono nel bosco. Luval e, accanto a lui, l'imponente massa corazzata di Urthar. L'aria era profumata, la luce filtrava delicata attraverso i rami. Gli zoccoli dei cavalli risuonavano ritmici nel silenzio. Urthar rivolse il volto blindato verso Luval.

- Questo bosco non è così selvaggio come sembrava.

La voce, resa metallica dall'elmo, era rimbombante e perplessa. Luval sospirò guardandosi attorno. Avrebbe potuto usare molti termini per definire quel bosco, ma 'natura selvaggia' non sarebbe stato appropriato. Questo per numerosi piccoli particolari che permettevano a un occhio attento di distinguerlo da quegli ambienti alquanto più rustici che il termine tende a fare affiorare alla mente.

- Ti riferisci alle siepi di erbe aromatiche perfettamente potate che costeggiano la strada? - Chiese Luval indicandole. Un giardiniere avrebbe pianto di commozione di fronte alla perfetta regolarità di quei contorni.

- Potrebbero anche essere un fenomeno naturale.

- Forse la sagoma degli alberi? Ne abbiamo incontrati alcuni piuttosto insoliti.

Urthar scrollò il capo con uno stridio metallico - Può succedere, spesso gli alberi hanno una forma strana. Quello che sembrava il Pavid di Chimerangelo (1) era notevole.

Luval ripensò alla radura. Uno slargo in cui gli alberi si ripiegavano in perfette riproduzioni arboree delle sculture più celebri, dal Pavid alla dea Appena(2)

- Va bene. - sbottò - Per te è naturale che i cespugli crescano con regolarità da geometra e gli alberi assumano l'aspetto di sculture. Allora cos'è che ti è sembrato così sorprendente?

- I ragni - rispose urthar trionfante.

- I ragni? - fece Luval incredulo.

- Certo. Le piante possono assumere forme strane, ma quella è inspiegabile.

Indicò una ragnatela sul ciglio della strada. Luval smontò da cavallo per vedere meglio. Si suppone che i ragni non usino fili colorati, tanto per cominciare, e quanto all'intreccio...

- Credo raffiguri la battaglia di Piffengard - commentò. Vedo sulla destra la torre di Buroman.

Urthar annuì. Quali che fossero le sue carenze in altri campi dello scibile quali la matematica, la letteratura o il buon senso, sulle battaglie era preparato.

Luval si ritrovò a scorrere con l'indice le sagome di quel minuscolo arazzo. Le dita accompagnarono la carica degli eroi senza mai sfiorare la superficie così fragile, esitarono lungo i contorni delle torri, sostarono sull'immagine di Buroman dopo la battaglia, furioso con i suoi soldati perché in seguito all'abuso di frecce infuocate non era rimasto un tocco di legna per cucinare la cena. Poi un soffio di vento gonfiò quella tela spingendola verso di lui.

Ritirò la mano troppo tardi. I fili aderirono alle sue dita e si lacerarono. Le immagini si deformarono. Brandelli giacquero svolazzanti e incompleti.

- Tutto distrutto...

- È sempre così - rispose Urthar dimostrando un'insospettata saggezza o, più probabilmente, di avere seguito i propri pensieri ignorando totalmente la conversazione in corso. Ripartirono. In lontananza si vedeva una montagna innevata.

Le giornate erano cristalline, le notti terse e profumate. Stelle più luminose che in ogni altro luogo osservavano i loro giacigli dall'alto e il cinguettio degli uccelli si dispiegava in elaborati contrappunti e melodie polifoniche. La montagna innevata era sempre più vicina.

Il terreno sorse in palazzi e le rocce composero arabeschi lungo il greto dei torrenti. Nell'acqua i pesci formavano coreografie elaborate che li portavano a innalzare la coda verticalmente fuori dalle onde.
La montagna innevata era sempre più vicina.

Raggiunsero la montagna .

E non era neve.

Urthar incuneò la punta della lancia sotto il tessuto e sollevò la stoffa. Per un attimo Luval si chiese dove avesse appreso quella capacità quasi miracolosa di fare apparire dal nulla le armi di cui aveva bisogno.

- Non è neve - disse infine Urthar.

- No – rispose Luval, giusto per non lasciare morire la conversazione.

- E' un telone. Di quelli che si mettono sui mobili per impedire che prendano polvere.

-Vero.

- Ma che genere di persona mette un telone per impedire che una montagna prenda polvere?

- Il genere che stavamo cercando. Il genere per cui una montagna è solo un mobile come un altro. - Luval lasciò scorrere lo sguardo sul candore ancora immacolato del tessuto - E a quanto pare se ne è andata.

- Mi spiace - commentò Urthar - Non c'è nessuna delle risposte che cercavi allora.

- Sì che ho trovato quelle risposte. La quarta sorella si è rappacificata con le tre. Solo questo può spiegare la sua partenza. E' tornata a casa e prepara nuovi progetti. Per questo avvengono cose nuove e strane. Possiamo tornare anche noi.

- Avremo occasione di spaccare qualche testa lungo la strada?

- Ne sono certo - rispose Luval, ripensando alla quarta sorella e alle nuove storie che stava senz'altro componendo in quello stesso momento. E sorrise prima di aggiungere - teste come non ne hai mai incontrate.

Urtar sorrise e un raggio di sole si riflesse in un brillio metallico dalla sua bocca.

- Andiamo.

(1) Pavid è uno dei più grandi vigliacchi della storia. La statua lo raffigura in procinto di combattere con un guerriero molto più forte di lui.
Libri e libri sono stati scritti per descrivere la tensione muscolare, la dinamicità dei gesti e la plasticità della posa. Questo è particolarmente notevole se si tiene conto che la statua mostra solamente una fionda ancora sospesa in aria prima di cadere mentre il Pavid è, presumibilmente, già lontano in fuga.

(2) La dea Appena è la divinità tutelare degli incarichi completati appena in tempo. Tradizionalmente viene rappresentata come una donna dai capelli scomposti colta nell'atto di afferrare scudo e lancia tentando al tempo stesso di aprire la porta per uscire e infilarsi un paio di scarpe spaiate. Talvolta, nel farlo, inciampa in una civetta.

3 commenti:

Fed Zeppelin ha detto...

dovresti scrivere più spesso!!! ^^
e dovremmo ritentare qualche esperimento di gioco di narrazione via mail!

sauron era un bravo artigiano ha detto...

@fed: lieto che ti sia piaciuto. Per i giochi di narrazione via mail, oramai sono un po' pessimista. Forse sono io che non riesco a conservare l'entusiasmo iniziale, am tutti quelli cui ho partecipato, dopo un buon inizio hanno finito per rallentare e arrestarsi prima della fine.

Fed Zeppelin ha detto...

sì, è vero, eppure c'è stato un tempo in cui andavano alla grande, io stessa ne ho giocato uno per quasi 10 anni... i tempi cambiano ;)